Undoing Patriarchy in the Historical Sciences

Autore del rapporto
Daniel
Moor
Citation: Moor Daniel: « Undoing Patriarchy in the Historical Sciences », infoclio.ch Tagungsberichte, 11.08.2025. En ligne: <https://www.doi.org/10.13098/infoclio.ch-tb-0399>, consulté le 21.08.2025

Organizzata dalla Rete svizzera delle storiche1 e moderata da Zoé Kergomard (Zürich), la tavola rotonda si è concentrata sulla discussione delle strutture patriarcali e androcentriche presenti nel mondo accademico, sia nell’ambito della ricerca che nell’insegnamento. Ma come fare a rendere visibili le pratiche normative e le discriminazioni sistemiche che tali strutture sociali incorporano? Come affrancare dal patriarcato le modalità in cui il sapere scientifico viene prodotto, trasmesso, convalidato? Un tema d’ampia portata, dunque, ma di estrema attualità e rilevanza, come ha sottolineato la moderatrice nella sua introduzione che ha preceduto gli altri tre interventi. Ogni referente ha infatti avuto a disposizione una decina di minuti per una breve relazione che avrebbe funto da spunto per la discussione durante la seconda metà dell’evento.

Basandosi sui risultati di un recente studio commissionato dalla Gender Equality Commission del Fondo nazionale svizzero, Andrea Zimmermann (Bern) ha descritto la rete di norme sociali e comportamentali che avviluppano chi, indipendentemente dalla propria identità di genere, si muove all’interno della ricerca accademica e con le quali si deve costantemente confrontare.2 Lo studio mostra come strutture patriarcali diffuse all’interno del sistema universitario svantaggino e discriminino chi non corrisponde all’idea del ricercatore e agli stereotipi della mascolinità tradizionalmente associata a questa figura professionale, ossia quella di un uomo cis, bianco, etero, sostenuto da una rete familiare e con disponibilità economica e autonomia di mobilità. L’ambizione al successo e la passione per la ricerca, che sono percepite come virtù essenziali del ricercatore tradizionale, vengono così a costituire una combinazione che configura la ricerca accademica come una competizione per vincere la quale sono necessari sacrifici all’interno della sfera personale e affettiva, secondo il motto: “il mio lavoro è la mia vita”. Il lavoro di ricerca presuppone quindi un costante sfruttamento delle risorse fisiche, mentali ed emotive di ricercatori e ricercatrici. Cosa significa tutto ciò per le ricercatrici*? Maggiore stress e aspettative elevate, dato che devono performare quegli stereotipi di genere normalmente affibbiati alla loro controparte maschile per poter essere riconosciute tra i loro peer.

Cosa fare dunque per rendere la ricerca accademica un ambito professionale meno discriminatorio e più inclusivo? Lo studio guidato da Zimmermann ha identificato tre principali strategie di azione: 1. migliorare le possibilità di accesso al mondo accademico per le donne* e garantire loro strumenti di empowerment; 2. trasformare le strutture sessuate all’interno del mondo accademico, passando da una riformulazione del concetto di eccellenza scientifica e della figura di chi fa ricerca a una maggiore prevenzione e protezione contro le molestie sessuali e accountability da parte di chi compie molestie e abusi; 3. integrare studi e workshop all’interno dei curricula dottorali e garantire un adeguato training a chi fa ricerca o ricopre ruoli di supervisione.

Anche secondo Jann Kraus (Winterthur) è necessario un cambiamento strutturale all’interno dell’ambiente accademico. È decisamente naif pensare che un ricambio generazionale sia sufficiente a cancellare le discriminazioni e gli eventi di violenza sessuale e/o psicologica e garantire così maggiore equità. Kraus ha sottolineato la necessità di una rete di supporto interpersonale, dove anche professori, professoresse e supervisori siano disposti a schierarsi in difesa delle vittime di molestie e abusi: l’omertà significa connivenza e complicità e concorre così a ostacolare un vero, radicale cambiamento nelle università. Appoggiandosi in parte alla propria esperienza personale, Kraus ha argomentato, analogamente alla sua collega Andrea Zimmermann, a favore di una differente tipologia di community accademica. Essa, invece che alla competizione per i materiali e i fondi, dovrebbe puntare a costruire un ambiente collaborativo, dove il rispetto e il supporto reciproco svolgono un ruolo cruciale. Anche la produzione del sapere scientifico dovrebbe essere improntata maggiormente verso una condivisione egualitaria, garantendone così la trasmissione e l’accesso anche al di fuori delle mura universitarie. Solo da qui passa, secondo Jann Kraus, la strada per un vero cambiamento.

Per Judith Grosse (St. Gallen) le diseguaglianze di genere non sono presenti soltanto nel mondo della ricerca accademica, ma anche nelle pratiche archivistiche. Come ha sottolineato nel suo intervento, la selezione dei documenti da archiviare non è mai un processo neutrale. Dinamiche di esclusione perpetuatesi nel tempo hanno infatti reso le voci di donne e di altre identità di genere minoritarie categoricamente sottorappresentate e, per molto tempo, la loro presenza negli archivi nazionali e statali è stata frammentaria e accidentale: anche da questi dati si scorgono le maglie strutturali dell’oppressione eteropatriarcale. Nonostante a partire dagli anni Settanta e Ottanta siano state avviate ricerche interessate a un recupero archeologico delle voci delle donne all’interno dei lasciti documentari, secondo Grosse ancora oggi permangono delle consistenti diseguaglianze di rappresentazione. Parimenti è difficile ottenere sostanziali sovvenzioni economiche a sostegno di quei progetti attivi nella ricerca archivistica e nella valorizzazione dei fondi esistenti che mirano a rendere visibili tali discriminazioni strutturali.

Durante la seconda parte della tavola rotonda è stato lasciato ampio spazio per la discussione. Agganciandosi a uno spunto offerto dalla moderatrice, Andrea Zimmermann ha riflettuto su un tema importante, ma spesso trascurato, ossia su chi abbandona il mondo della ricerca. Sempre riferendosi all’esperienze delle persone coinvolte nel suo studio, Zimmermann ha nuovamente enfatizzato l’importanza di una comunità scientifica supportiva, capace di creare un ambiente lavorativo sereno e gratificante non solo per il fervido scambio intellettuale. Come ha ricordato, molte delle persone, spesso donne, che lasciano l’ambito accademico, lamentano infatti l’assenza di tali condizioni lavorative e la mancanza di uno spazio di recupero psicofisico. Perché, come ha sottolineato Jann Krauss, fare ricerca non coinvolge solo la mente, ma anche il corpo, spesso sottoposto a stress eccessivo. Insomma, quella dicotomia mind/body, che i pensieri femministi avevano già ravvisato come costitutiva per la produzione del sapere scientifico di stampo occidentale e coloniale, è tuttora ancorata nel modo in cui il lavoro, inteso come labour, di ricerca viene svolto all’interno delle nostre istituzioni universitarie. Un sistema che peraltro continua a discreditare anche il valore delle esperienze personali nella produzione del sapere scientifico. E anche se esistono possibilità di pubblicare per editori rinomati e storici, l’accesso a riviste, companion e altre raccolte di studi e saggi mainstream è difficoltoso e non scontato. Senza poi considerare che si assiste a un costante processo di segregazione in nicchie specialistiche. Al riguardo, Krauss ha addotto come esempio le sue ricerche nell’ambito della storia della famiglia: dato l’approccio teorico e l’oggetto di studio, i suoi scritti vengono infatti tendenzialmente percepiti come esclusivamente queer e raramente considerati all’interno di raccolte di storia della famiglia.

Quasi in chiusura, dal pubblico viene fatto notare come, fino a quel momento, nella tavola rotonda sia stata posta poca attenzione sull’intersezione tra race e gender. Ma è stata una scelta dettata dal tempo a disposizione, ha rassicurato Judith Grosse, che ha poi ribadito come l’intersezionalità non possa più essere un aspetto trascurabile. E, ha fatto notare Krauss, questo non solo nella ricerca, ma anche – molto concretamente – nella configurazione delle infrastrutture universitarie: esse devono essere riconcettualizzate in modo da cancellare pratiche di esclusione e discriminazione nei confronti di quei corpi che deviano dallo standard idealizzato dalle norme patriarcali ancora oggi imperanti.

È evidente, alla fine di questa intensa tavola rotonda, come il lavoro da fare sia ancora molto, soprattutto quando, come in questi ultimi anni, la congiuntura storica sembra voler cancellare con crescente violenza fisica, verbale ed epistemologica i diritti ottenuti con il dolore e la lotta di diverse generazioni. E anche se forse è mancata una riflessione meta-metodologica di ampia portata, la scelta di focalizzarsi su tematiche vicine alla quotidianità di chi fa ricerca nelle discipline storiche è stata senz’altro proficua. Se non altro per rinvigorire una volontà di azione a sostegno di un vero e radicale cambiamento strutturale per un’accademia più democratica e meno discriminante.


Note:
  1. 1

    La Rete svizzera delle storiche «è un’associazione per la promozione delle donne* nelle scienze storiche. Dal 2019, mett[e] in contatto le storiche* in Svizzera che lavorano in diversi ambiti professionali: dipendenti o autonome, nel mondo accademico, negli archivi, nel settore culturale, nell’amministrazione o nel settore privato. Inoltre, sost[iene] la parità di genere e l’uguaglianza per le donne* nelle scienze storiche a tutti i livelli accademici e professionali». (https://www.historikerinnen.ch/it/)

  2. 2

    Cfr. Zimmermann, Andrea; Oliveira, Deborah; Illmer, Lea Dora, «Gender Equality Measures in Academia. Literature Review Commissioned by the Gender Equality Commission of the Swiss National Science Foundation», Universität Basel, 2023. Online: <https://www.snf.ch/media/en/0mqvK5zD6Y0OHR9F/academianet-literature-review-interaktiv.pdf>, visto il 31.7.2025.


Questo resoconto fa parte della documentazione infoclio.ch del 7° Congresso svizzero di svizzero di scienze storiche.

Manifestazione
Siebte Schweizerische Geschichtstage
Organizzato da
Schweizerische Gesellschaft für Geschichte
Data della manifestazione
-
Luogo
Luzern
Lingua
Italiano
Report type
Conference