A Bolzano, i muraglioni del Muri Gries mi si parano davanti in un sole rovente, svelando un mondo nuovo rispetto alla pianura lombarda. Se il monastero di Viboldone era povero ed essenziale, questa abbazia è ricca e trionfante con la sua struttura massiccia, i possedimenti agricoli, le seicentomila bottiglie di vino d’annata, le nove campane di bronzo «a slancio tirolese» installate nella torre, le imposte verdine e le scandole multicolori, luccicanti nel cielo azzurro tempestato di rondini. […] L’abbazia bolzanina è Controriforma, Concilio di Trento, potenza di principi-vescovi, bastione di frontiera, torre di guardia contro il protestantesimo che dilaga da Oltralpe nel tempestoso secolo diciassette[1].
Attraverso le sue impressioni davanti all’abbazia di Muri Gries a Bolzano, Paolo Rumiz evoca l’eredità che i monasteri e le abbazie hanno lasciato alla storia europea. Allo stesso tempo, offrono l’occasione di leggere la storia delle Alpi attraverso i ruoli – economici, sociali, politici, culturali, artistici – assunti dai monasteri; ruoli che si estendono dall’Alto Medioevo fino ai nostri giorni, con le sfide di un mondo laicizzato e di un patrimonio storico che cerca di reinventarsi.
Il volume 31/2026 di Histoire des Alpes – Storia delle Alpi – Geschichte der Alpen intende dedicare il Dossier al tema dei monasteri e delle comunità religiose nello spazio alpino. Se la storia delle comunità regolari ha conosciuto un grande interesse tra la seconda metà del XIX secolo e i primi anni del XX, grazie soprattutto all’impulso di membri del clero che si sono dedicati alla raccolta, alla trascrizione e alla traduzione dei materiali d’archivio, oltre che alla pubblicazione in forma di monografie, constatiamo da qualche decennio una ripresa d’interesse per questo tema sulle Alpi e le Prealpi, dovuto soprattutto all’archeologia, alla diversificazione dei problemi legati al mondo religioso, oltre che, a livello locale, alla volontà dei poteri pubblici di estendere l’offerta turistica.
Attraverso una larga apertura cronologica che si estende dal Medioevo ai nostri giorni, il dossier si propone di raccogliere i contributi che affrontano il fenomeno dei monasteri alpini tramite diverse prospettive che includono la storia economica, la storia sociale, la storia culturale e delle idee, la storia politica, la storia dell’arte e dell’architettura.
Cinque temi di analisi forniscono i riferimenti che guideranno il Dossier. Anche le proposte che considerano degli spazi di montagna simili alle Alpi potranno essere prese in considerazione.
1. Storia e documentazione
Grazie alle nuove metodologie basate sull’impiego di banche dati e sulla digitalizzazione di opere antiche, oltre che ad un nuovo interesse per le fonti primarie – illustrato dalla ricostruzione dei cartari –, le ricerche storiche hanno beneficato della (ri)scoperta di numerose fonti che hanno permesso di riscrivere la storia delle comunità regolari. Si tratta soprattutto delle origini delle fondazioni che si affrancano progressivamente dalle tradizioni plurisecolari per lasciare spazio alle relazioni delle comunità religiose con le autorità ecclesiastiche (vescovadi) e laiche (famiglie principesche e signorili) che concedono loro una parte dei loro privilegi e li rendono attori del sistema feudale nell’ambiente alpino. Le comunità locali devono accettare i nuovi venuti.
Le proposte che riguardano delle comunità femminili o miste saranno particolarmente benvenute.
2. Organizzazione del territorio
La messa in discussione del «monaco colonizzatore» invita a interrogarsi sulla valorizzazione dei territori concessi alle comunità religiose di montagna. Le ricerche archeologiche condotte da diversi anni sugli alpeggi o sulle foreste si integrano con i dati forniti dagli archivi e dai catasti e permettono di restituire il funzionamento economico di questi territori, dalla valorizzazione delle risorse naturali fino alle attività commerciali. La strutturazione del territorio, tramite la costruzione di dipendenze (grange, baite, mulini, etc.), l’organizzazione di sentieri, di percorsi e di ponti, tramite la deviazione o la canalizzazione dei corsi d’acqua, disegna una o più reti gestite dal monastero.
3. Relazioni tra i religiosi e la popolazione
Fondate in pianura nell’Alto Medioevo, poi nei «deserti» di montagna tra X e XII secolo, infine nel cuore delle città e dei borghi prealpini a partire dal XIII secolo, le comunità religiose si sono in gran parte collocate a fianco della popolazione laica, assicurando la loro sussistenza con il lavoro, ma le hanno anche attratte con il loro stile di vita (conversioni, pellegrinaggi). Questa vicinanza ha potuto assumere aspetti conflittuali, soprattutto nel tempo dell’ascesa e della diminuzione demografica tra XIII e XIV secolo, e in seguito nel secolo dell’illuminismo. Inoltre, con la regionalizzazione dei reclutamenti a partire dalla fine del Medioevo, gli enti religiosi hanno accolto i membri delle famiglie locali, e non solo della nobiltà. Le relazioni tra le comunità religiose e la popolazione laica potranno quindi essere esaminate con prospettive diverse: relazioni di dominio, soprattutto signorile, di cooperazione religiosa, economica e difensiva, ma anche relazioni personali (origini dei religiosi e delle religiose, relazioni famigliari, vite private, etc.).
4. Architettura e resti materiali
A livello delle ricerche sul costruito e sui lavori di restauro o di ristrutturazione, negli ultimi anni è progredita la conoscenza dell’architettura religiosa. Le proposte che riguarderanno le costruzioni e le ristrutturazioni, illustrando i contatti tra le comunità religiose e laiche (chiese abbaziali o priorati, cappelle di villaggio, ma anche spazi di giustizia, baite d’alpeggio o grange condivise, ospizi e ricoveri, etc.) saranno particolarmente apprezzate.
5. Sviluppo del patrimonio religioso
A partire dai secoli XVI e XVII numerosi enti religiosi hanno chiuso le loro porte. Ciò avvenne in seguito agli sconvolgimenti causati dalle guerre di religione – che determinarono la soppressione di alcuni monasteri cattolici e il ritorno di protestanti perseguitati –, all’antimonachesimo del XVIII secolo, alla Rivoluzione francese e alla progressiva laicizzazione della società. Cosa sono diventati questi conventi, queste chiese, queste grange? Prima della valorizzazione culturale e turistica che ha provocato la presa di coscienza dell’interesse patrimoniale di questi antichi siti religiosi, talvolta in epoca molto recente, gli antichi monasteri hanno potuto conoscere diverse destinazioni: suddivisione tra diversi proprietari privati che vi hanno installato le loro abitazioni, sedi d’industrie o di attività commerciali, soprattutto alberghi, servizi pubblici (sedi comunali, tribunali, scuole, uffici del turismo, residenze sociali) e religiosi (case canoniche). Oggi numerosi siti sono aperti al pubblico. In un contesto economico a lungo dominato dagli sport invernali, ma obbligato a diversificarsi a causa del cambiamento climatico (che provoca una progressiva chiusura delle stazioni sciistiche), quale collocazione possono trovare questi siti patrimoniali, nella prospettiva di una valorizzazione turistica? Quale presa di coscienza può verificarsi da parte della popolazione e dei rappresentanti politici? Come differenziarsi dalle altre abbazie, priorati e certose? Infine, con la prospettata chiusura di monasteri e conventi a causa della crisi delle vocazioni, come mantenere e conservare gli edifici, gli archivi, gli oggetti liturgici e artistici?
Le proposte di articolo, con il titolo e un riassunto di circa 1500 caratteri, devono essere inviate a vanessa.gianno@usi.ch entro il 31 marzo 2025. Nel caso in cui la proposta venga accettata dal comitato di redazione di «Histoire des Alpes», l’articolo dovrà pervenire allo stesso indirizzo elettronico secondo i criteri redazionali previsti per la rivista (https://www.labisalp.usi.ch/storage/app/media/normes-histoire-des-alpes-vers-f-2013.pdf) entro il 30 novembre 2025.
· Lunghezza massima dell’articolo, spazi e note inclusi: 40 000 caratteri.
· Numero massimo d’immagini in bianco e nero, con una definizione minima di 300 DPI: 3 (di cui una verticale, utilizzata come immagine di apertura dell’articolo, di 600 DPI).
Comitato scientifico:
Laurent Auberson, storico e archeologo
Sidonie Bochaton, archeologa (Università Jean Jaurès de Toulouse)
Alessandra Panicco, storica dell’architettura e del paesaggio (Politecnico di Torino)
Carlo Tosco, storico dell’architettura e del paesaggio (Politecnico di Torino)
[1] P. Rumiz, Il filo infinito. Viaggio alle radici d’Europa, Milano, Feltrinelli, 2019, p. 63.